Teatro dell'Elfo
6 / 30 marzo 2006
Elio De Capitani
di William Shakespeare
È l’ultima versione di un lungo lavoro a tappe che vede Elio De Capitani e la compagnia dell'Elfo tornare più volte alla corte di Elsinor. Uno spettacolo che ha acquisito di stagione in stagione pienezza e consapevolezza, ottenendo bellissimi successi. A proposito del ‘grande gioco di Shakespeare’, che ha impegnato il regista per tanti anni, De Capitani scriveva nel 2003: «Oggi che l’Europa c’è e ci manca al tempo stesso, urge ristorarsi nelle poche cose che danno conto della nostra vera identità. Shakespeare è un porto e un’ancora. Shakespeare è una libertà. Consigliamo Shakespeare per ricordarci di essere (stati?) capaci di un pensiero profondo e al tempo stesso di una straordinaria leggerezza». I drammi di Shakespeare vivono lungo i confini, scegliendo l'ibridazione dei generi e la polifonia, in modo da complicare qualsiasi univocità prospettica. Dunque il confronto dell'Elfo con i fondamenti del teatro occidentale moderno - dopo le tre versioni di Sogno di una notte di mezza estate, dopo Il mercante di Venezia e la recentissima Tempesta - riprende da Amleto: un laboratorio, un paradigma con il quale confrontarsi costantemente, uno specchio di fronte al quale riflettersi e grazie al quale riflettere sul teatro e la sua capacità d'indagare l'essere umano e il mondo.
Nel primo allestimento (marzo '94) Amleto era parente stretto di una generazione di arrabbiati, figlio tormentato del Novecento che, rompendo con la propria epoca, compiva un atto di irriducibile rivolta contro il grigiore della realtà. Quasi fosse maturato nel corso delle successive messinscene, il protagonista prende ora a riflettere sulla sua dolorosa inadeguatezza, fino a scoprire i limiti dell'agire umano, della libertà individuale e le implicazioni morali del potere, sia che lo si persegua sia che vi si rinunci. Amleto porta in sé dubbi, esitazioni e conflitti, ma tutto ciò, infine, non lo esime dal macchiarsi di delitti insensati. Ed è lo scontro senza esclusione di colpi con Claudio che lo conduce in questa direzione: re Claudio è una forza di vita primigenia, barbara, incandescente, forza del piacere che persegue il potere; è uno dei più maturi villain shakespeariani, non accetta la condizione di cadetto, fratello del re e zio di Amleto, e vuole pervicacemente potere, letto regale e corona, contrapponendo ai dubbi morali del principe la ricerca di un'edonistica pienezza, capace di appagarlo. Ma il rapporto tra intenzione, azione e risultato sarà fallimentare per entrambi i contendenti.
Ferdinando Bruni è interprete di Amleto anche in quest'edizione, Ida Marinelli è la regina Gertrude, mentre il ruolo di Claudio viene assunto dallo stesso regista, Elio De Capitani, così da ridefinire i cruciali rapporti tra i tre. Elena Russo Arman è Ofelia, una bambina/donna di ambigua doppiezza, figlia della spregiudicata prudenza di Polonio, interpretato da Luca Toracca.
In questo allestimento una luce diversa illumina quindi i conflitti che permeano il dramma: non solo per i riflessi che i personaggi assumono grazie a nuovi interpreti e alla maturazione della compagnia, ma anche per i cambiamenti epocali occorsi in questi anni.
Dunque Amleto, con la sua stratificazione di significati, il suo interrogarsi senza proporre soluzioni inequivocabili o stabili, ci fa riflettere anche sul nostro nuovo, mutato presente: Cesare Garboli, recentemente scomparso, lavorò alla traduzione di questa «tragedia di ferro, tragedia soldatesca e guerriera», considerando che dovesse, paradossalmente, la sua attualità «proprio alla sua mancanza di modernità e alle sue radici barbariche».
AMLETO
di William Shakespeare
traduzione Cesare Garboli
regia di Elio De Capitani
con Ferdinando Bruni, Elio De Capitani, Ida Marinelli, Elena Russo Arman, Luca Toracca, Corrado Accordino, Marco Cacciola, Fabiano Fantini, Alessandro Genovesi, Massimo Giovara, Nicola Russo
scene di Carlo Sala
luci di Nando Frigerio
colonna sonora di Renato Rinaldi - suono di Jean-Christophe Potvin
una produzione TEATRIDITHALIA
foto Bruna Ginammi
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