Centro di Ricerca Culturale Lepetit
13 / 16 marzo 1973
Teatro dell’Elfo
di Augusto Boal e Gianfrancesco Guarnieri
regia di Gabriele Salvatores
Debutto
Non vi fate sedurre,/non esiste ritorno./Il giorno sta alle porte,/già è qui vento di notte/altro mattino non verrà./Non vi lasciate illudere /che è poco la vita, non vi sarà bastata/ quando dovrete perderla.
(…) Non vi fate sedurre /da schiavitù o da piaghe./Che cosa vi può ancora spaventare?/Morite come tutte le bestie/e non c’è niente dopo.
Bertolt Brecht, trad. Franco Fortini
Un clown bianco - è Ferdinando Bruni a dargli corpo - il viso dipinto di biacca, le labbra rosso scure, i grandi occhi neri, una voce stranamente profonda per i suoi vent’ anni, accoglie con queste parole il suo pubblico, parla alla loro pancia ma soprattutto alla loro coscienza di spett-attori, di cittadini consapevoli e attivi. Si appresta a raccontare la storia di Zumbì.
Proprio così, spett-attori, li chiamava l’autore del testo, Augusto Boal (1931- 2009), brasiliano, scrittore, attivista politico, attore e regista e autore della metodologia del Teatro dell’Oppresso, che opera in Brasile negli anni ‘60. Nel ’65, un anno dopo il colpo di stato detto Golpe de los Gorilas , il Teatro de Arena di São Paulo allestisce Arena conta Zumbì, musical sulla mitica storia della libera città di Palmares, costruita nella giungla nel 1670 da schiavi angolani fuggitivi, che sotto la guida del Grande Re (Ganga) Zumba e di suo nipote Zumbì, riescono per un po’ di anni a prosperare e a tener testa ai portoghesi. Finché questi sono impegnati contro gli olandesi. E finché i commerci con la nuova realtà sono redditizi. Poi si scatena la repressione. Zumbì tradito e ucciso, i ribelli sconfitti, la testa del principe esposta a perenne monito.
Gabriele Salvatores e Ferdinando Bruni, a cui hanno cominciato ad unirsi Denise Petriccione, Jemima Zeller, Daniela Piperno, Antonio Donato, Thalia Istikopoulou e Sandro Usuelli, scelgono di mettere in scena liberamente il lavoro di Boal, adattando e inserendo testi, riscrivendo musiche e canzoni. Intanto il gruppo, il futuro Elfo, si allarga. Da uno sguallarato gruppo di pazzi che sta allestendo un surreale Paese delle figure piane, Gabriele recluta Luca Toracca, Bruno Bigoni e me. Io faccio qualche resistenza, sono iscritta al 2° anno di medicina, ma alla seconda telefonata capitolo e raggiungo il gruppo nello scantinato di via Gherardini.
Brecht è il nume tutelare di questo allestimento, in una versione calda, espressionista. Gabriele mi ha ricordato di recente la passione sua e di Ferdinando per Cabaret. E che il bellissimo brano La banda di Edu Lobo, da noi celebre nell’esecuzione di Mina, faceva parte della colonna sonora originale di Zumbì.
Le nostre canzoni volano più basso, la nostra orchestra è formata da Sandro e Gabriele, con chitarra batteria e armonica. E pure le luci da gestire. Ma hanno una loro efficacia. Maschere, più personaggi per ciascuno di noi, vorticosi trasformismi, riso amaro.
L’invito al pubblico è a resistere, a non permettere che la Morte si insinui nella nostra Vita, sono proprio le lusinghe della Vita, sorella complice della Morte, a sedurci e a toglierci la voglia di lottare. A toglierci i sogni.
Noi nascemmo insieme una notte di luna,/e mai più noi volemmo lasciarci/(…) Una abbaglia gli occhi dell’uomo stolto,/l’altra cieco lo porta via per mano/prima che possa dire: No.
Ed è ancora il bianco Pierrot di Ferdi a salutare il pubblico con le parole e il dolore di Pagliaccio nero di Langston Hughes, mentre il cerchio di luce si chiude su di lui: Perché la mia bocca /si spalanca al riso/voi non sentite/ il mio grido segreto./Perché i miei piedi/ danzano con gioia/ voi non capite/che io muoio.
Cristina Crippa, Monza, 12 marzo 2021
P. S. Dopo il finale e i titoli di coda aggiungo un’ultima ma importante nota: il 19enne Elio De Capitani, che, avrete forse notato, manca nell’elenco degli artisti, assistette da spettatore alla prima del nostro Zumbì, che forse non gli piacque del tutto, ma gli piacqui io, e si lasciò sedurre, da me, dal mio abito viola (a noi ha sempre portato un gran bene questo colore), dai miei capelli rossi, e, come danno collaterale, dal teatro, fino allora irrilevante nella sua vita. E dopo qualche mese, esce Jemima in maternità e arriva Ida Marinelli.
Quanto al nostro autore, arrestato e torturato, nel ’71 dovrà rifugiarsi in Argentina e poi a Parigi. Farà ritorno in patria nell’86, dove continuerà a lavorare fino alla sua morte nel 2009. Gianfrancesco Guarnieri, coautore anche delle musiche con Edu Lobo, è nato a Milano nel 1936, figlio di musicisti antifascisti rifugiati in Brasile nel 1936.
Per i brasiliani Zumbì è un po’ come per noi Garibaldi. Ma ricorda anche Spartaco. Sul busto in bronzo di Zumbì a Brasilia è scritto:
ZUMBI DOS PALMARES
O líder negro de todas as raças
ZUMBÌ
Ballata di vita e di morte della gente di Palmares
di Augusto Boal e Gianfrancesco Guarnieri
regia Gabriele Salvatores
scene Thalia Istikopoulou
costumi Ferdinando Bruni
musiche Gabriele Salvatores, Sandro Usuelli
con Ferdinando Bruni, Bruno Bigoni, Cristina Crippa, Antonio Donato (poi Elio De Capitani), Daniela Piperno, Luca Toracca, Jemina Zeller (poi Ida Marinelli)
produzione Teatro dell’Elfo
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