LE LETTERE DI SAMI KELIBI

Una lettera di carta è ormai un oggetto del passato, quasi nessuno più scrive fisicamente una lettera. Una lettera è un oggetto fragile e potente: la carta è un materiale delicatissimo e resistente. Questi fogli sono passati per le mani di un mendicante che era anche un poeta, hanno raccolto le sue parole, i suoi racconti, le sue fantasie, i suoi disegni, sono state piegate, scritte, stropicciate, a volte bruciate, timbrate sono poi passate di mano in mano e hanno viaggiato da Parigi a Roma mettendo in contatto un sans papiers tunisino con un ragazzo italiano, sono rimaste chiuse in una busta, hanno cambiato casa e città, sono state perse e ritrovate, dopo più di vent’anni sono state l’ispirazione per la scrittura di un testo teatrale e ora vengono esposte qui. Esporre queste lettere private che non mi appartengono - io ho solo avuto la fortuna di custodirle per un periodo - per me è come celebrare la lentezza della mano che scrive, le infinite possibilità di un semplice foglio bianco da cui tutto può scaturire e soprattutto l’urgenza più grande e importante che mette in contatto le persone e pone le basi per fare arte: l’urgenza di comunicare.